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Con un valore della produzione pari a 160 Meuro, il comparto carni rappresenta circa il 20% del valore della produzione agricola regionale. Nell'ordine contribuiscono a questo risultato le carni suine (8,5%), le carni bovine (7,2%) e il pollame (5,1%).
Una vera e propria strutturazione di filiera è rinvenibile nella DOP Prosciutto di San Daniele (28 prosciuttifici e oltre 150 allevamenti riconosciuti nella regione).
Gli allevamenti avicoli e cunicoli sono di tipo industriale e sono diffusi su tutto il territorio regionale.
Negli ultimi anni, quasi tutti i comparti registrano un calo del valore della produzione e della capacità di allevamento. Questo è dovuto ai costi di produzione spesso troppo elevati, alla debolezza contrattuale degli imprenditori zootecnici e, nel comparto bovino, alla presenza di una forte frammentazione aziendale con pochi allevamenti specializzati. Le preoccupazioni e gli allarmismi legati alla BSE e all'“influenza aviaria” hanno contribuito ad indebolire ulteriormente il settore, creando periodi di netta caduta dei prezzi e della domanda, con perdita di reddito e spesso con difficoltà finanziarie.
In controtendenza rispetto a questo quadro, le carni suine sono tra le poche produzioni regionali che hanno fatto registrare risultati positivi nel quadriennio 2000-2004.
In una prospettiva di sviluppo, va considerata l'esistenza di molti comprensori idonei alle produzioni foraggera e cerealicola, nei quali gli allevamenti hanno un inserimento territoriale generalmente buono, l'ampia diffusione della razza PRI, la notorietà e l'apprezzamento della DOP Prosciutto di San Daniele, l'attivazione della IGP Sauris, il prossimo riconoscimento della DOP “Vitellone Bianco e Rosso del Triveneto” e la presenza di altre preparazioni alimentari tipiche locali. In questi ultimi anni si sono inoltre registrate alcune interessanti esperienze di allevamento biologico, di razze minori e/o con modalità meno intensive.
Questi elementi di forza convivono con diversi elementi di debolezza, quali i costi di produzione elevati e l'insufficiente strutturazione delle aziende bovine, la dipendenza dall'estero per parte della genetica e dei capi da ristallo e le carenze nel segmento regionale della macellazione in uno scenario caratterizzato dal forte potere contrattuale dei gruppi industriali e di commercializzazione, generalmente extraregionali e dall'elevata competitività internazionale.
Le debolezze di filiera e l'insufficiente valorizzazione qualitativa della produzione di carni possono impedire di cogliere le opportunità rappresentate dal crescente interesse per la sicurezza sanitaria e per il potenziamento della tracciabilità e dalla richiesta dei consumatori e dei trasformatori di nuove produzioni, dalla presenza di disciplinare di qualità e dalla possibilità di integrazione promozionale con altri prodotti agroalimentari regionali di qualità e con il comparto turistico.
Da ultimo, va rilevata la scarsa diffusione di sistemi di valorizzazione energetica dei reflui zootecnici, ambito nel quale sono ora disponibili tecnologie affidabili e che potrebbe favorire sia un'integrazione di reddito e/o una riduzione dei costi, sia il rispetto di norme ambientali ed urbanistiche sempre più rigorose.