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FAQ - LR 19/2012 (CAPO IV) - Energia: provvedimenti autorizzativi

Il soggetto competente a decidere sulla sostanzialità o meno della modifica è il Comune. Sarà, infatti, l’ente territoriale più vicino al cittadino che, nel caso in cui gli venisse presentata una dichiarazione avente ad oggetto una modifica sostanziale di un impianto, dovrà, ai sensi dell’art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 28/2011, riscontrare l’assenza di una delle condizioni richieste dal legislatore per applicare la PAS (e cioè la non sostanzialità della modifica) e notificare all’operatore economico l’ordine motivato di non effettuare l’intervento, invitandolo a richiedere per lo stesso l’autorizzazione unica all’ente competente.

Con specifico riferimento alla prima domanda, si fa presente come la Corte Costituzionale abbia più volte ricordato che compete allo Stato determinare il regime giuridico di ogni intervento, se, cioè, il singolo intervento sia da assoggettare a PAS o ad autorizzazione unica, in quanto trattasi di disciplina di principio della materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Ne consegue che, fino all’emanazione del decreto ministeriale previsto dall’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 28/2011, gli interventi diversi da quelli indicati in tale norma devono considerarsi modifiche sostanziali e, come tali, assoggettati ad autorizzazione unica. Si segnala, peraltro, come sulla norma di cui si discute vi siano già le prime pronunce del G.A. (si veda, per esempio, TAR Puglia - Lecce, n. 1630/2012, secondo il quale devono considerarsi modifiche sostanziali e, quindi, assoggettati ad autorizzazione unica tutti gli interventi che consistono «nella variazione della dimensione fisica dei singoli pannelli e della composizione delle stringhe, nonché nella variazione della sagoma d’ingombro» perché, per effetto di essi, l’impianto assumerà una fisionomia diversa). Per quanto riguarda, invece, la seconda domanda, per rispondere alla stessa è necessario partire dall’analisi dell’ultimo periodo della norma da ultimo citata, ai sensi del quale, infatti, «per gli impianti a biomassa, a bioliquidi e biogas non sono considerati sostanziali i rifacimenti parziali e quelli totali che non modifichino la potenza termica installata e il combustibile rinnovabile utilizzato». La risposta al quesito, quindi, dipende dal significato che si attribuisce alla parola combustibile. Nel caso che ci occupa il combustibile è il biogas. L’operatore economico che volesse variare la sostanza che già utilizza per produrlo, quindi, sarà tenuto a presentarle una semplice dichiarazione al Comune sul cui territorio insiste l’impianto, ai sensi dell’art. 6, D.Lgs. n. 28/2011.

 Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e) d. lgs. 28/2011 per “biomassa” si intende “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”. In alcuni casi tali prodotti possono essere utilizzati per la produzione biogas, mediante fermentazione anaerobica metanogenica. La ratio delle norme richiamate (art. 13, c. 4, lett. C), punto 3) ed art. 19, c. 2) è inequivocamente quella di garantire sia un approvvigionamento a breve raggio delle biomasse, per ridurre l’inquinamento derivante dal trasporto delle stesse, sia l’assenza di contaminazioni delle medesime, a tutela della salute umana. Se ne può inferire che l’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire rileva con riferimento a tutte le biomasse, tanto se impiegate per la combustione, quanto se sottoposte a fermentazione.

Con riferimento alla “filiera corta”, con tale termine si intendono le biomasse prodotte entro un raggio di 70 km dall’impianto di produzione dell’energia elettrica (cfr., da ultimo, art. 2, comma 1, lett. v) D.M. 6 luglio 2012 “Attuazione dell'art. 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici”). Quanto al divieto di vicinanza alle colture pregiate di cui all’art. 13, c. 4, lett. C), punto 3), nel ricordare che tale divieto entrerà in vigore il 1 gennaio 2014 (art. 54, comma 4), la legge non specifica cosa debba intendersi per “colture pregiate”. E’ possibile tuttavia fare riferimento alla nozione di “colture pregiate” di cui alla Legge Regionale 30 dicembre 1967, n. 29 (“Provvedimenti per lo sviluppo delle colture pregiate”), cui si rinvia, in quanto lo stesso legislatore regionale ha inteso, da un lato, concedere contributi alle colture pregiate e, dall’altro, tutelarle garantendo che non siano installati impianti a biomassa entro un raggio di 2 km dalle stesse.

 La risposta a questa domanda non può che essere positiva. Ai sensi dell’art. 13, comma 3, L.R. n. 19/2012, infatti, «nei casi in cui l’intervento debba essere sottoposto a valutazione di impatto ambientale ovvero alla relativa verifica di assoggettabilità, l’istanza può essere corredata del progetto composto da elaborati grafici con grado di approfondimento analogo a quello richiesto per il progetto preliminare dei lavori pubblici». In tali casi, peraltro, il responsabile del procedimento all’esito del quale viene rilasciata l’autorizzazione unica, provvederà a sospendere lo stesso fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale (cfr. gli artt. 22-ter, comma 5, L.R. n. 7/2000 e 14-ter, comma 4, L. n. 241/1990). Ottenuta tale pronuncia, ovviamente, l’operatore economico dovrà adeguare il progetto che aveva inizialmente presentato alle prescrizioni contenute nella stessa, rendendolo, di fatto, un progetto assimilabile a quello definitivo dei lavori pubblici (cfr. l’art. 13, comma 3, L.R. n. 19/2012). L’operatore economico, peraltro, può anche scegliere di presentare delle istanze autonome per ottenere il provvedimento di autorizzazione unica e la pronuncia di compatibilità ambientale. In tali casi, ovviamente, ottenuta tale pronuncia, dovrà adeguare alle prescrizioni contenute nella stessa il progetto che aveva inizialmente presentato per ottenere l’autorizzazione unica, rendendolo, di fatto, un progetto assimilabile a quello definitivo dei lavori pubblici. L’operatore economico, infine, potrebbe anche non avvedersi della necessità della pronuncia di compatibilità ambientale e, dunque, presentare solamente l’istanza per ottenere l’autorizzazione unica. In tali casi il Servizio VIA (o il rappresentante unico della Regione, se si tratta di procedimento non di competenza regionale), nella prima riunione della conferenza di servizi, si esprimerà sulla necessità di tale pronuncia. Il responsabile del procedimento, pertanto, dovrà applicare gli artt. 22-ter, comma 5, L.R. n. 7/2000 e 14-ter, comma 4, L. n. 241/1990 (i.e. sospendere il procedimento fino all’acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale).

 Il costo complessivo degli interventi è riferito anche ai costi delle opere connesse ed infrastrutture indispensabili; quanto, invece, al piano di dismissione e di ripristino dei luoghi, esso concerne i soli impianti e non le opere connesse, come peraltro emerge dallo stesso dato letterale della norma.

 Come si evince dai commi 6, 7 ed 8 dell’art. 13, la L.R. n. 19/2012 richiede sempre la titolarità delle aree al fine del rilascio dell’autorizzazione unica per gli impianti a fonti rinnovabili, ad eccezione delle aree interessate dalle opere connesse, nonché dei casi in cui la localizzazione dell’impianto sia “vincolata in relazione al rilascio, da parte degli enti pubblici competenti, di specifici atti di concessione o autorizzazione relativi allo sfruttamento specificatamente localizzato di risorse energetiche rinnovabili presenti sul territorio” (art. 13, comma 8). La disciplina regionale, pertanto, non richiede la titolarità delle aree per gli impianti idroelettrici, eolici, geotermici (per l’installazione dei quali è necessaria una concessione) e, più in generale, per tutti i casi in cui vi sia un atto amministrativo che individua uno specifico sito ai fini dello sfruttamento di una risorsa rinnovabile. Deve essere sempre dimostrato la titolarità sulle aree, invece, per gli impianti fotovoltaici ed a biomasse, in quanto si tratta di opere facilmente dislocabili sul territorio e che non necessitano di previa individuazione amministrativa del sito di realizzazione.

 Si. Ai sensi dell’art. 12, comma 1 lett. a) . “sono soggetti ad autorizzazione di costruzione ed esercizio rilasciata dalle amministrazioni competenti […] gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili e i relativi ampliamenti, potenziamenti, rifacimenti totali e parziali, riattivazioni e modifiche sostanziali di cui all' articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28”. L’articolo 13 individua i contenuti dell’istanza volta al rilascio dell’autorizzazione unica di cui all’articolo 12. Ne deriva che anche l’istanza presentata ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione unica per la realizzazione di una modifica sostanziale ad un impianto già autorizzato deve avere i contenuti di cui all’art. 13.

Nel caso in cui il rappresentante del Comune non abbia con sé il parere favorevole del consiglio comunale e non vi siano altre ragioni per differire la riunione della conferenza di servizi, si è in presenza di un dissenso di carattere urbanistico del Comune, regolato dall’art. 22 quater, comma 3 L.R. 7/2000. La decisione deve essere, pertanto, rimessa all'organo collegiale esecutivo dell'ente territoriale procedente (che è, nel caso della Provincia, la Giunta provinciale; nel caso del Comune, le Giunta comunale). Non vi è, infatti, alcuna norma che consenta al responsabile del procedimento, in alternativa, di sospendere il procedimento e riconvocare la Conferenza. Alla luce della specifica situazione, tuttavia, potrebbe essere opportuno consigliare al proponente di richiedere una sospensione del procedimento in attesa dell’adozione del parere favorevole da parte del Consiglio Comunale.

Tale norma, come è noto, prevede che anche nei casi in cui l’impianto è soggetto ad AIA si applichi l’art. 22-ter, comma 5, L.R. n. 7/2000. Anche in tali casi, pertanto, il responsabile del procedimento all’esito del quale viene rilasciata l’autorizzazione unica provvederà a sospendere lo stesso fino all’acquisizione dell’autorizzazione integrata ambientale, applicando, se necessario, quanto previsto dal secondo e terzo periodo della disposizione.

La norma riguarda esclusivamente gli atti di assenso soggetti a periodico rinnovo, che sono – in linea di principio – l’autorizzazione paesaggistica e l’eventuale AIA, entrambe soggette a rinnovo quinquennale. In prossimità della scadenza di tali atti, decorrente dalla data di rilascio dell’autorizzazione unica, il proponente dovrà rivolgersi agli enti competenti al loro rilascio, seguendo l’ordinaria procedura di rinnovo. L’autorizzazione rimane la medesima, tuttavia i provvedimenti di rinnovo ne costituiranno parte integrante e sostanziale.

Per rispondere a questa domanda è necessario partire dall’analisi dell’art. 15, comma 4, ai sensi del quale la stipula della convenzione di cui si discute non condiziona in alcun modo la ricevibilità, la procedibilità dell’istanza ovvero la conclusione del procedimento di autorizzazione unica. Orbene, se, come è noto, la conclusione del procedimento si sostanzia nell’adozione del relativo provvedimento, ne consegue che essa non può essere impedita dalla mancata stipula della convenzione a garanzia del corretto adempimento degli obblighi di dismissione. Diversamente opinando, peraltro, si verrebbe a violare uno dei principi fondamentali dell’azione amministrativa, quello di certezza dei relativi tempi di svolgimento, consentendo all’amministrazione procedente di procrastinare sine die l’emanazione del provvedimento autorizzatorio, sol che il Comune sul cui territorio verrà realizzata l’infrastruttura energetica non abbia ottenuto ulteriori garanzie sul rispetto degli obblighi di dismissione dall’operatore economico sul quale tali obblighi incombono. L’ente territoriale più vicino al cittadino, infatti, al momento dell’avvio dei lavori di realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a fonti rinnovabili, riceve già da tale soggetto una cauzione a garanzia degli interventi di dismissione dell’infrastruttura e di rimessa in pristino dello stato dei luoghi, cauzione che lo stesso utilizzerà per far eseguire tali interventi nel caso di inadempienza dell’obbligato (cfr. l’art. 13, comma 4, lett. m).

 L’art. 16, comma 4 della L.R. 19/2012 così dispone: “Qualora non realizzabili previa comunicazione ai sensi del comma 2, sono soggetti alla procedura abilitativa semplificata (PAS) di cui all' articolo 6 del decreto legislativo 28/2011 , i seguenti interventi: […] e) le unita' di piccola cogenerazione di cui all' articolo 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 20/2007 (unita' di cogenerazione con una capacita' di generazione installata inferiore a 1 megawatt elettrico, ovvero di potenza termica nominale inferiore a 3 megawatt termici).” Il dato letterale della norma, pertanto, consente di concludere nel senso che l’intervento in oggetto possa essere assoggettato alla PAS, ferma restando la necessità che il proponente abbia titolo sulle aree e sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (art. 16, comma 1 L.R: 19/2012).

 La risposta a questa domanda non può che essere positiva. Come è noto, infatti, il D.M. 10 settembre 2010, ai paragrafi 12.2 e 12.6, prevedeva espressamente che fossero realizzabili mediante D.I.A. gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati sugli edifici la cui superficie complessiva non fosse superiore a quella del tetto, gli impianti solari fotovoltaici aventi capacità di generazione inferiore a 20 kilowatt, gli impianti eolici aventi capacità di generazione inferiore a 60 kilowatt e le torri anemometriche finalizzate alla misurazione temporanea del vento, nel caso in cui fosse prevista una rilevazione di durata superiore ai 36 mesi. Come si vede, nel primo e nel quarto caso non era prevista alcuna soglia di potenza al di sopra della quale l’intervento dovesse ritenersi assoggettato ad autorizzazione unica, come, invece, accadeva nel secondo e nel terzo caso. Come è noto, con il D.Lgs. n. 28/2011, la D.I.A. è stata sostituita dalla PAS (cfr. l’art. 6, comma 1). Il provvedimento legislativo da ultimo citato, inoltre, facoltizza le Regioni ad estendere la soglia di applicazione della PAS fino ad 1 megawatt (cfr. l’art. 6, comma 9). Evidentemente tale facoltà può essere esercitata solamente nei casi in cui la legislazione previgente prevedeva una soglia minore al di sotto della quale si potesse applicare la nuova procedura, e cioè, appunto, nel secondo e nel terzo dei casi che si sono appena illustrati. Con riferimento a tali casi, quindi, il legislatore regionale ha esercitato la facoltà che gli è stata riconosciuta da quello statale. L’art. 16, comma 4, lett. a) e c) della L.R. n. 19/2012, quindi, va letto nel senso che lo stesso assoggetta a PAS gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati sugli edifici la cui superficie complessiva non sia superiore a quella del tetto, gli impianti solari fotovoltaici aventi capacità di generazione inferiore a 1 megawatt, gli impianti eolici aventi capacità di generazione inferiore a 1 megawatt e le torri anemometriche finalizzate alla misurazione temporanea del vento, nel caso in cui sia prevista una rilevazione di durata superiore ai 36 mesi.

Per rispondere a questa domanda è necessario partire dall’analisi delle disposizioni richiamate. Come è noto, con tali disposizioni il legislatore regionale ha voluto assoggettare a comunicazione di inizio lavori alcuni interventi, tra i quali la manutenzione di linee elettriche esistenti (lett. i) e anche la sostituzione delle stesse, se realizzata sull'identico tracciato, con la stessa tensione di esercizio e caratteristiche tecniche equivalenti a quelle esistenti (lett. j). Si tratta di interventi che vanno ad incidere su infrastrutture lineari energetiche oggetto di un provvedimento autorizzatorio che ora viene rilasciato anche dalla Provincia (cfr. art. 3, comma 1, lett. d, L.R. n. 19/2012). Sarà in tali casi, pertanto, che il realizzatore dell’intervento dovrà inviare la comunicazione di inizio lavori anche all’ente territoriale di livello intermedio, oltre che al Comune. Quest’ultimo, ovviamente, ricevuta la comunicazione, dovrà esercitare la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia oggetto della stessa. La Provincia, invece, sarà chiamata a verificare se, come ha presunto il legislatore regionale assoggettando a comunicazione di inizio lavori interventi come quelli di cui si discute, il nuovo assetto di interessi proposto dal soggetto privato è ancora compatibile con gli interessi pubblici che sono venuti in rilievo nel procedimento all’esito del quale è stata autorizzata la costruzione della linea elettrica. Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, quindi, non vi è una duplicazione degli incombenti amministrativi, avendo gli enti territoriali coinvolti nella vicenda competenze diverse. La previsione che la comunicazione di inizio lavori di cui all’art. 16, comma 2, lett. i) e j) venga inviata anche alla Provincia, inoltre, non crea complessità procedurale a carico dei richiedenti né maggiori costi per gli stessi, come alcuni enti locali hanno fatto notare. Innanzitutto perché l’invio può essere effettuato anche per via telematica (cfr. l’art. 16, comma 3). Non è necessaria, quindi, la predisposizione di diverse copie della medesima documentazione. Poi perché la nuova legge regionale sull’energia non impone alle amministrazioni procedenti di porre a carico del soggetto richiedente le spese per le attività istruttorie ma semplicemente le facoltizza a farlo. Inoltre perché tali spese non possono essere superiori, in casi come quelli di cui si discute, allo 0,05 % del valore dell’investimento, valore che, per quanto riguarda gli interventi di cui all’art. 16, comma 2, lett. i) e j), è sicuramente molto più basso di quello dell’investimento occorrente per realizzare ex novo una linea elettrica. Infine, perché, in casi come quelli di cui si discute, le spese sostenute dalle amministrazioni coinvolte nella vicenda (e, quindi, poste a carico dell’operatore economico) possono essere anche molto basse. Il Comune, infatti, potrebbe anche limitarsi ad una sola visita di sopralluogo, e, dunque, porre a carico del realizzatore dell’intervento solamente i costi sostenuti per inviare il proprio funzionario sul luogo in cui sorge l’infrastruttura lineare energetica, luogo che, ovviamente, non potrà che essere ubicato nel territorio comunale. La Provincia, invece, potrebbe anche non porre nessuna spesa a carico dell’operatore economico, sol che si intendesse il riferimento alle “spese per le attività istruttorie” in senso letterale e tecnico, e cioè come un riferimento alle spese sostenute dall’amministrazione per un’attività finalizzata all’emanazione di un provvedimento, e sempre che, ovviamente, l’ente territoriale di livello intermedio non abbia, nel caso di specie, delle necessità logistiche e operative.

Con tale locuzione il legislatore regionale ha inteso riferirsi a tutti gli elaborati grafici e descrittivi che normalmente vengono redatti per ciascuno degli interventi oggetto della comunicazione di cui si discute. Tali interventi, ovviamente, dovranno essere progettati e realizzati in conformità alle norme tecniche vigenti (Decreto Interministeriale 21 marzo 1988 n. 449, con cui è stata data attuazione a quanto previsto dalla legge 28 giugno 1986 n. 339, etc.).

La norma è inequivoca nel precisare il proprio campo di applicazione: essa si riferisce esclusivamente agli impianti soggetti ad autorizzazione unica, salvo l’obbligo di presentazione di un piano di approvvigionamento della materia prima, di cui al primo periodo del comma 2, il quale è esteso anche agli impianti a biomasse soggetti a PAS (cfr. art. 19, comma 4).

ultimo aggiornamento: Tue Oct 11 12:47:47 CEST 2016