L’interpretazione letterale della norma fa propendere per la prima soluzione (ovvero la superficie dell’intero impianto).
L’art. 71, comma 1, del D. lgs. 59/2010 prevede alcuni requisiti morali necessari per esercitare l'attività commerciale di vendita e di somministrazione. I commi successivi stabiliscono ulteriori requisiti, di carattere professionale, che devono sussistere ai fini della vendita o somministrazione di alimenti e bevande. Pertanto, nonostante l’imprecisione testuale, è evidente il richiamo ai requisiti stabiliti all’art. 71 citato. Il proponente dovrà, conseguentemente, dimostrare o dichiarare di possedere i requisiti morali e (nel solo caso in cui intenda somministrare alimenti e bevande) professionali citati. Va tuttavia rilevato come l’art. 36, comma 3, lett. b) richieda, unicamente per il trasferimento delle autorizzazioni relative a impianti autostradali, il possesso della capacità tecnico organizzativa ed economica di cui agli artt. 5, 6 e 7 DPR 1269/1971. Pertanto, onde evitare di incorrere in disparità di trattamento tra nuove autorizzazioni autostradali e trasferimenti di quelle esistenti, ed in attesa di una modifica legislativa del testo, l’art. 35 comma 4 lett. b) va interpretato nel senso che, limitatamente agli impianti autostradali, il proponente deve dimostrare il possesso anche della capacità tecnico organizzativa ed economica di cui agli artt. 5, 6 e 7 DPR 1269/1971.
Si ritiene condivisibile tale impostazione, purché sia possibile all’amministrazione comunale prendere visione del contenuto dell’atto traslativo in forza del quale il proponente richiede l’autorizzazione. Non di rado, infatti, i contratti che legittimano l’ottenimento del permesso di costruire (ad es, il contratto di compravendita) contengono clausole che ne sospendono ovvero ne limitano l’efficacia e di cui non si può che tener conto nel rilasciare l’autorizzazione unica, che – come noto – sostituisce anche il permesso di costruire. Tra i soggetti che possono edificare di cui all’art. 21 L.R. 19/2009, inoltre, figura il “titolare di diritti edificatori riconosciuti in un contatto o in altro atto giuridico riconosciuto dalla legge”: in tali casi è necessario visionare il contratto o l’atto giuridico al fine di verificare portata e limiti dei diritti edificatori attribuiti al richiedente.
L’art. 54, comma 1 L.R. 19/2012 esclude che si applichino le disposizioni di cui alla L.R. 3/2001, in materia di sportello unico. Pertanto i procedimenti autorizzativi relativi agli impianti di distribuzione carburanti non sono soggetti alla disciplina relativa allo SUAP.
Il concetto di “raccordo autostradale”, pur se non definito dal Codice della Strada, denota solitamente un collegamento tra un'autostrada e una località di interesse non direttamente raggiunta dalla rete autostradale principale, oppure brevi collegamenti tra due autostrade. Gli stessi Enti gestori individuano i raccordi autostradali di loro competenza, pertanto, pur in assenza di una definizione, si può fare riferimento ai raccordi individuati da tali Enti. In Friuli Venezia Giulia sono presenti due raccordi autostradali, come peraltro dichiarato dai relativi Enti gestori sui rispettivi siti Internet:
• Raccordo Autostradale n. 16 (FVG Strade), denominato “R.A. Cimpello (A/28) - S.S. n. 13”, della lunghezza di km 3,754, esteso dal km 0 della località Cimpello Innesto A28 sino al km 3,754 della località Piandipan Innesto SS 13 (v. monografia strade FVG Strade: http://www.fvgstrade.it/cms/data/pages/000010.aspx)
• Raccordo Autostradale n. 17 (Autovie Venete), denominato “R.A. Villesse Gorizia” , peraltro in corso di riqualificazione quale autostrada (v. sito Autovie Venete: http://www.autovie.it/it/14857/Grandi-opere-adeguamento-raccordo-Villesse-Gorizia ).
L’art. 35, comma 1, prevede che l’autorizzazione unica per gli impianti di distribuzione dei carburanti sia rilasciata secondo le disposizioni degli artt. 12 e seguenti della medesima L.R. 19/2012. L’art. 12, comma 3 subordina l’efficacia dell’autorizzazione unica al formale anche successivo rilascio, da parte degli enti competenti, delle concessioni eventualmente dovute, previa espressione in Conferenza di Servizi delle relative dichiarazioni di assenso da parte di tali enti. Pertanto, nel caso in cui in conferenza vi fosse già un parere favorevole da parte dell’ente competente al rilascio della concessione, ben si potrebbe rilasciare la relativa autorizzazione subordinandone l’efficacia alla successiva formalizzazione della necessaria concessione. Nel caso in cui, diversamente, non fosse acquisito l’assenso in parola, la Conferenza di Servizi convocata dovrà rigettare l’istanza, fatta salva la possibilità di sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 2, comma 7 L. 241/1990.
La norma richiama il contenuto dell’art. 28, comma 8 D.L. 98/2011, in materia di razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti, come modificato dall'art. 8, comma 22-bis, D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44. Nel caso in cui una disposizione nazionale successiva alla Legge 44/2012, da ultimo citata, abbia eliminato la differenza tra edicole esclusive e non esclusive, deve ritenersi implicitamente abrogata la disposizione dell’art. 28, comma 8 D.L. 28/2011 che opera il “distinguo” evidenziato e, pertanto, la corrispondente previsione regionale.
Una delle finalità generali della Legge è quella di incentivare la diffusione dei carburanti eco-compatibili; prova ne sia, ad esempio, il fatto che l’installazione delle apparecchiature di ricarica delle auto elettriche nei distributori di carburanti “tradizionali” è obbligatoria e deve avvenire, per i distributori esistenti (pena l’incompatibilità tecnica e l’applicazione delle relative sanzioni comunali), entro il 18/10/2014, ai sensi dell’art. 37, comma 6. L’intento del legislatore, pertanto, è certamente quello di favorire l’installazione di distributori dotati di apparecchiature di ricarica per auto elettriche, pertanto la “lacuna normativa” relativa alle ”stazioni di rifornimento elettrico” può essere considerata fortuita. Ne deriva che, sebbene l’art. 35 letteralmente paia ammettere la possibilità di autorizzare sul territorio regionale esclusivamente nuovi impianti di tipologia “stazione di servizio”, limitando la possibilità di realizzare le “stazioni di rifornimento” e gli “impianti non presidiati” alle zone svantaggiate di cui al comma 7 ed escludendo del tutto le “stazioni di rifornimento elettrico”, un’interpretazione della norma conforme all’intenzione del legislatore e che tenga conto dell’iter legislativo della medesima induce, invece, a ritenere possibile la realizzazione delle tipologie da ultimo indicate su tutto il territorio regionale, senza limiti di sorta.
Si ritiene condivisibile tale impostazione, purché sia possibile all’amministrazione comunale prendere visione del contenuto dell’atto traslativo in forza del quale il proponente richiede l’autorizzazione. Non di rado, infatti, i contratti che legittimano l’ottenimento del permesso di costruire (ad es, il contratto di compravendita) contengono clausole che ne sospendono ovvero ne limitano l’efficacia e di cui non si può che tener conto nel rilasciare l’autorizzazione unica, che – come noto – sostituisce anche il permesso di costruire. Tra i soggetti che possono edificare di cui all’art. 21 L.R. 19/2009, inoltre, figura il “titolare di diritti edificatori riconosciuti in un contatto o in altro atto giuridico riconosciuto dalla legge”: in tali casi è necessario visionare il contratto o l’atto giuridico al fine di verificare portata e limiti dei diritti edificatori attribuiti al richiedente.
Non si ritiene che gli atti di assenso dell’Agenzia delle Dogane e dell’Ente gestore siano qualificabili quali certificati o documenti comprovanti stati, qualità personali e/o fatti, né come “dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni”, ai sensi dell’art. 43 DPR 445/2000; tali pareri, infatti, sono espressi nell’esercizio di un potere discrezionale ed a seguito di relativa istruttoria.
L’articolo 71, primo comma, del D. lgs. 59/2010 prevede alcuni requisiti morali in assenza dei quali non è possibile esercitare l'attività commerciale di vendita e di somministrazione. I commi successivi stabiliscono ulteriori requisiti, di carattere professionale, che devono sussistere ai fini della vendita o somministrazione di alimenti e bevande. Pertanto, nonostante l’imprecisione testuale, è evidente il richiamo ai requisiti stabiliti all’art. 71 citato. Il proponente dovrà, conseguentemente, dimostrare o dichiarare di possedere i requisiti morali e (nel solo caso in cui intenda somministrare alimenti e bevande) professionali citati. Va tuttavia rilevato come l’art. 36, comma 3, lett. b) richieda, unicamente per il trasferimento delle autorizzazioni relative a impianti autostradali, il possesso della capacità tecnico organizzativa ed economica di cui agli artt. 5, 6 e 7 DPR 1269/1971. Pertanto, onde evitare di incorrere in disparità di trattamento tra nuove autorizzazioni autostradali e trasferimenti di quelle esistenti, ed in attesa di una modifica legislativa del testo, l’art. 35 comma 4 lett. b) va interpretato nel senso che, limitatamente agli impianti autostradali, il proponente deve dimostrare il possesso anche della capacità tecnico organizzativa ed economica di cui agli artt. 5, 6 e 7 DPR 1269/1971.
La sostituzione di una colonnina a semplice, doppia o multipla erogazione con altra colonnina di pari caratteristiche (rispettivamente, semplice, doppia o multipla) non è soggetta a comunicazione. La sostituzione di una colonnina con un’altra colonnina avente caratteristiche diverse (es: semplice – doppia; semplice – multipla) è soggetta a comunicazione, essendo l’intenzione del legislatore volta ad assoggettare a comunicazione solo gli interventi in cui vi è un mutamento delle proprietà tecniche dell’erogatore.
L’art. 54, comma 1 L.R. 19/2012 esclude che si applichino le disposizioni di cui alla L.R. 3/2001, in materia di sportello unico. Pertanto i procedimenti autorizzativi relativi agli impianti di distribuzione carburanti non sono soggetti alla disciplina relativa allo SUAP.
Ai sensi dell’art. 37, comma 4, per gli interventi di sostituzione dei serbatoi la comunicazione preventiva deve essere “trasmessa anche all'ARPA, deve specificare la data prevista di inizio dei lavori di sostituzione serbatoi e deve comprendere una relazione di analisi del terreno interessato e dell'acqua di falda, al fine di verificare la presenza di eventuali inquinamenti dovuti a perdite pregresse”. L’art. 50, comma 2 precisa inoltre che “La sostituzione dei serbatoi di stoccaggio deve avvenire nel rispetto delle vigenti norme e inoltre:
a) la data di inizio dei lavori di sostituzione deve essere comunicata all'ARPA con specifico avviso scritto inviato con congruo anticipo;
b) deve essere effettuata e comunicata all'ARPA l'analisi del terreno prelevato dal fondo dello scavo e dell'acqua di falda al fine di verificare l'eventualita' di inquinamenti effettuati nel corso delle operazioni di sostituzione o dovuti a perdite pregresse”.
Dal combinato disposto delle due norme emerge che è necessario inviare ad ARPA la comunicazione preventiva contenente, tra l’altro, la data di inizio lavori, senza necessità di inviare l’ulteriore e separato avviso scritto previsto dall’art. 50, comma 2 lett. a). Inoltre, al fine di non porre eccessivi oneri a carico del proponente, è sufficiente che la comunicazione preventiva contenga una relazione descrittiva delle indagini che verranno eseguite nel corso dei lavori di sostituzione sulle matrici ambientali interessate, al fine di verificare la presenza di inquinamento e/o perdite pregresse, mentre solo all’esito dei lavori di sostituzione dovrà essere comunicato all’ARPA il risultato di tali indagini.
Ai sensi dell’art. 41, comma 2, lett. a) è considerato in situazione di inidoneità tecnica l'impianto esistente che, alla data del 18/10/2013, non rispetti le norme in essa contenute e le caratteristiche tipologiche di cui all'articolo 34, comma 1, lettere e), f) e g). Pertanto è in situazione di inidoneità tecnica l’impianto che non sia dotato, tra l’altro, di colonnine per auto elettriche. Il proprietario di tale impianto, una volta che il Comune ne abbia accertata l’inidoneità tecnica e l’incompatibilità territoriale, è invitato dal Comune stesso a presentare un programma di adeguamento o di chiusura e rimozione. L’eventuale programma di adeguamento, ovviamente, dovrà prevedere la rimozione di tutti gli eventuali profili di incompatibilità o inidoneità, tra i quali ultimi è annoverata la mancanza delle colonnine per auto elettriche. In tale fattispecie, dunque, l’aggiunta di una o più colonnine per auto elettriche dovrà essere prevista nel piano di adeguamento e, 30 gg prima di inizio lavori, dovrà essere inviata la comunicazione di cui all’art. 37. L’ordine temporale di esecuzione dei lavori è irrilevante.
Solo il titolare dell’autorizzazione può sospendere l’attività dell’impianto.
Le ferie sono libere e non necessitano di alcuna comunicazione.
L’art. 45, comma 18 fornisce un elenco preciso delle cause di sospensione sanzionatoria (assenza del provvedimento dichiarativo finale di collaudo, del collaudo o dell'autorizzazione all'esercizio provvisorio). Quanto alle tempistiche, deve ritenersi che essa non possa eccedere i sei mesi, salvo proroghe di ulteriori sei mesi, come previsto dal comma 3 dell’art. 38, cui rinvia lo stesso comma 18 dell’art. 45. Qualora il titolare dell’autorizzazione non ottenga il provvedimento dichiarativo finale di collaudo, il collaudo o l'autorizzazione all'esercizio provvisorio entro il termine assegnato, si applica la procedura di cui al comma 5 dell’art. 38.
Si, l’interpretazione è corretta. Di più, deve ritenersi che gli impianti che erano compatibili (o non vietati) urbanisticamente al momento del rilascio della relativa concessione edilizia, edificati prima dell’entrata in vigore della L.R. 8/2002, e per i quali non sussista più conformità urbanistica, non sono incompatibili ai sensi dell’art. 41, comma 1, lett. g): vige, infatti, il generale principio secondo cui il permesso di costruire (o la concessione edilizia, per gli impianti più risalenti) deve essere conforme alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento del rilascio, non certo a quella sopravvenuta (cfr. art. 22, comma 1 L.R. 19/2009). Ne deriva, in definitiva, che la norma richiamata nel quesito ha ad oggetto:
a) gli impianti edificati prima dell’entrata in vigore della L.R. 8/2002 situati in zone in cui, già all’epoca dell’installazione, era espressamente vietata la realizzazione di distributori di carburante;
b) gli impianti realizzati successivamente all’entrata in vigore della L.R. 19/2012 situati in zone in cui sia espressamente vietata la realizzazione di distributori di carburante.
Si, in un caso del genere il Comune potrà trarre dalle verifiche già effettuate i dati necessari ai fini di cui all’art. 41, comma 1, lett. g).
In assenza di altre indicazioni, gli unici contenuti obbligatori dei programmi di chiusura volontaria e rimozione dell’impianto sono quelli di cui all’art. 44. Resta fermo l’obbligo per il proponente di richiedere agli enti competenti, ed ottenere, tutte le autorizzazioni eventualmente necessarie per la dismissione ai sensi delle normative di settore (es: vigili del fuoco, dogane…).
La struttura regionale competente in materia di inquinamento non è l’ARPA (che è un consulente tecnico della Regione), bensì il Servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico della Direzione centrale ambiente, energia e politiche per la montagna.
Preliminarmente si ricorda che per i collaudi è previsto ora un “doppio binario”. Più in particolare, l’operatore economico deve ora richiedere al Comune il rilascio di un provvedimento accertativo finale di collaudo che verrà redatto sulla base delle verifiche effettuate e dei collaudi ottenuti. L’operatore economico, quindi, alla propria richiesta, dovrà allegare gli atti di collaudo e verifica che si sarà preventivamente fatto rilasciare dagli enti competenti all’accertamento dell’idoneità tecnica dell’impianto in relazione agli aspetti fiscali, di sicurezza ambientale, antincendio e sanitari. In luogo del provvedimento accertativo finale di collaudo il titolare dell’impianto, nelle ipotesi in cui dovesse risultare troppo gravoso acquisire gli atti sulla base dei quali viene rilasciato tale provvedimento (i.e. quelli di collaudo e verifica rilasciati dagli enti competenti all’accertamento dell’idoneità tecnica dell’impianto in relazione agli aspetti fiscali, di sicurezza ambientale, antincendio e sanitari) può motivatamente richiedere al Comune (e cioè illustrando le ragioni della propria richiesta) che venga effettuato il collaudo da parte di una commissione all’uopo nominata e composta, oltre che dal rappresentante comunale, dai rappresentanti dell’Agenzia delle dogane, del Comando provinciale dei vigili del fuoco, dell’Azienda per i servizi sanitari e dell’ARPA. In tal caso il Comune, valutata la congruità della motivazione (e cioè accertato che le motivazioni addotte dall’operatore economico corrispondono a verità) designa, entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza, un proprio rappresentante nella succitata commissione, invita gli altri enti interessati a designare i propri rappresentanti nei successivi trenta giorni, trascorsi i quali provvede a convocare la commissione collaudatrice per la visita di sopralluogo da effettuarsi non oltre ulteriori trenta giorni.
Alcuni interventi su impianti esistenti non sono più soggetti, in forza delle previsioni normative contenute nella nuova Legge Regionale, alla procedura di collaudo. Si tratta, segnatamente, dei seguenti interventi, che la previgente normativa definiva quali opere di “potenziamento” dell’impianto – e per ciò erano soggetti a collaudo ex art. 10, comma 7 D.P.Reg. 394/2002 – e che sono attualmente qualificati come “modifiche”:
1) l’aggiunta di nuovi prodotti erogabili;
2) l’installazione di apparecchiature self-service prepagamento.
L’art. 45, comma 17 prescrive che i suddetti interventi, non più soggetti a collaudo, siano “realizzati nel rispetto delle previsioni di progetto, delle norme fiscali, ambientali e antincendio, che è documentato da un’asseverazione sottoscritta da un tecnico abilitato, trasmessa al Comune, al Comando provinciale dei vigili del fuoco e all’Agenzia delle dogane”. Si pone il problema, in primo luogo, di determinare la disciplina applicabile a tali interventi qualora l’stanza di collaudo sia antecedente all’entrata in vigore della LR 19/2012 ma la procedura di collaudo non si sia ancora conclusa. Si rileva, sul punto, che il legislatore non ha dettato alcuna disciplina transitoria per i procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore della nuova Legge. In assenza di norme transitorie trova applicazione il principio “tempus regit actum”, ai sensi del quale ogni atto amministrativo è disciplinato dalla normativa vigente al momento in cui esso è posto in essere. Conseguentemente, nell’ipotesi in cui sia ancora in corso un procedimento di collaudo per un intervento definito dalla previgente legislazione quale “potenziamento” (necessariamente avviato prima dell’entrata in vigore della L.R. 19/2012), l’Amministrazione comunale dovrà concluderlo segnalando che la fattispecie cui è riferita l’istanza è venuta meno, così come è venuta meno la norma attributiva del relativo potere, ed invitando il proponente a procedere secondo quanto prescritto dall’art. 45, comma 17 L.R. 19/2012 (asseverazione sottoscritta dal tecnico abilitato). Con riferimento, in secondo luogo, al regime autorizzativo degli interventi di potenziamento, si rileva come essi fossero soggetti ad autorizzazione comunale ai sensi dell’art. 8 L.R. 8/2002. Nonostante il Regolamento di attuazione di tale Legge (il già citato D.P.Reg. n. 394/2002) apparentemente dettasse all’art. 14 una disciplina semplificata per il potenziamento degli impianti stradali, deve ritenersi prevalente la previsione di rango legislativo, ossia l’art. 8 della L.R. 8/2000, sovra-ordinata rispetto a quella regolamentare. In precedenza, dunque, per i potenziamenti era necessario conseguire l’autorizzazione del Comune. L’art. 37 LR 19/2012 detta una disciplina semplificata rispetto a quella previgente, prevedendo che per gli interventi sopra individuati debba essere effettuata, almeno trenta giorni prima dell’inizio lavori, una semplice comunicazione avente i contenuti di cui al terzo comma del medesimo articolo, trasmessa al Comune, ai Vigili del fuoco e all’Agenzia delle dogane; la stessa deve essere inviata anche ad Arpa nel caso di sostituzione o variazione del numero o della capacità di stoccaggio dei serbatoi interrati. Anche sotto tale profilo, in assenza di norme transitorie, il Comune dovrà concludere i procedimenti autorizzativi in corso invitando l’interessato a provvedere all’invio della comunicazione prevista dalla nuova normativa ai soggetti richiamati all’art. 37 della LR 19/2012. Resta inteso che quanto sin qui precisato non ha alcuna rilevanza per i procedimenti già conclusi ai sensi della previgente normativa di settore.
La lettera della legge è chiara nell’indicare che tale certificazione deve essere predisposta dal direttore dei lavori (cfr. l’art. 45, comma 3, lett. a). Una tale interpretazione, peraltro, è conforme anche al ruolo che ricopre il direttore dei lavori, il quale, come è noto, è il garante, nei confronti della P.A., dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori stessi. Per quanto riguarda, invece, la certificazione che deve essere rilasciata dal tecnico abilitato ai sensi dell’art. 45, comma 3, lett. b), essa, come risulta chiaramente dalla lettera della norma, ha tutt’altro contenuto, dovendo riguardare il rispetto delle norme di sicurezza e fiscali e la correttezza dei lavori eseguiti.
Al riguardo si fa presente come tali dichiarazioni vengano rese nell’interesse proprio del dichiarante e non presuppongano un’attività valutativa da parte dello stesso. Le dichiarazioni, asseverazioni e certificazioni sottoscritte da professionisti abilitati di cui alla L.R. n. 19/2012, invece, sono rese da questi ultimi nell’interesse altrui e presuppongono un’attività valutativa da parte degli stessi, oltre che, ovviamente, un’assunzione di responsabilità sulla veridicità di quanto dichiarato.
La previgente normativa, e segnatamente l’art. 10 del DPReg 394/2002, non conteneva prescrizioni di carattere “tecnico”, limitandosi a prevedere che la Commissione accertasse “la funzionalità, l’idoneità tecnica ai fini della sicurezza sanitaria e ambientale e l’idoneità fiscale delle attrezzature installate, nonché la conformità dell’impianto al progetto approvato”. Ovviamente tali verifiche dovevano essere condotte applicando le norme di settore, secondo le competenze proprie di ciascun Ente partecipante. Pertanto, anche in assenza della convocazione di una Commissione di collaudo, gli Enti citati dovranno verificare la conformità dell’impianto alla luce della medesima normativa di settore da essi applicata nell’ambito della procedura di collaudo precedentemente vigente. Sul punto pare solo il caso di precisare che, qualora le norme di settore richiedano che il proponente presenti ad un ente competente una mera autocertificazione, è sufficiente allegare la stessa all’istanza di autorizzazione unica.
1) Certificato Prevenzione Incendi (Vigili del Fuoco).
2) Licenza Fiscale (Ufficio Tecnico di Finanza).
3) Atti di collaudo necessari in relazione all’Autorizzazione agli scarichi:
a. scarico in fognatura: attestazione di regolare esecuzione dei lavori emessa dall’ente gestore della fognatura (solo se richiesta dall’ente medesimo); qualora non dovuta, copia della comunicazione di regolare esecuzione dei lavori trasmessa dal richiedente all’ente gestore della fognatura;
b. scarico in corpo idrico superficiale o sul suolo: copia della comunicazione di fine lavori e dichiarazione di conformità inviata alla Provincia competente.
4) Atti di collaudo necessari in relazione all’Autorizzazione sanitaria: attestazione di regolare esecuzione dei lavori rilasciata dal Comune competente (solo in caso di rilascio del certificato di agibilità); negli altri casi, copia della comunicazione di fine lavori trasmessa dal richiedente al Comune competente.
Al riguardo si fa presente come la lettera della legge sia chiara nell’indicare che tale certificazione deve essere predisposta dal direttore dei lavori (cfr. l’art. 45, comma 3, lett. a). Una tale interpretazione, peraltro, è conforme anche al ruolo che ricopre il direttore dei lavori, il quale, come è noto, è il garante, nei confronti della P.A., dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori stessi. Per quanto riguarda, invece, la certificazione che deve essere rilasciata dal tecnico abilitato ai sensi dell’art. 45, comma 3, lett. b), essa, come risulta chiaramente dalla lettera della norma, ha tutt’altro contenuto, dovendo riguardare il rispetto delle norme di sicurezza e fiscali e la correttezza dei lavori eseguiti. La norma, del pari, è altrettanto univoca nel non richiedere la certificazione di conformità sanitaria e ambientale.
L’art. 54, comma 1 L.R. 19/2012 esclude che si applichino le disposizioni di cui alla L.R. 3/2001, in materia di sportello unico. Pertanto i procedimenti autorizzativi relativi agli impianti di distribuzione carburanti non sono soggetti alla disciplina relativa allo SUAP.
La ricevuta in questione è un documento detenuto non dall’Agenzia delle Dogane, bensì dallo stesso proponente, in quanto gli viene consegnato a fronte del deposito della richiesta della licenza di esercizio, se prevista. Pertanto la ricevuta può essere richiesta al soggetto interessato.
Le funzioni dei singoli Enti sono diverse, pertanto è ben possibile che i componenti di tali Enti percepiscano compensi differenti. Il versamento va effettuato a ciascun Ente dal titolare.
Il già vigente art. 2, comma 9 della L.R. 8/2002 stabiliva che “le concessioni di cui all'articolo 16, comma 1, del decreto legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034, sono convertite di diritto in autorizzazioni”. Ne deriva che la concessione rilasciata precedentemente all’entrata in vigore della L.R. 8/2002 è stata convertita ex lege in autorizzazione, avente durata illimitata. Quanto al collaudo, la legittimità dello stesso va valutata alla luce della normativa vigente al momento della sua effettuazione, potendo rilevare la disciplina sopravvenuta solo ai fini della determinazione della durata del collaudo medesimo. Stimato, dunque, che il collaudo sia stato correttamente eseguito ai sensi della previgente legislazione di settore, la normativa di riferimento per ciò che concerne la durata del provvedimento di collaudo è data dalla L.R. 8/2002 e dal relativo Regolamento di Attuazione per il periodo antecedente all’entrata in vigore della L.R. 19/2012, e da quest’ultima a decorrere dal 18/10/2012. L’art. 2, comma 11 della L.R. 8/2002 prescriveva che gli impianti di distribuzione carburanti fossero soggetti a collaudo ad ogni scadenza del termine di quindici anni, secondo le modalità previste all’art. 10 del D.P.Reg. 0394/Pres. Attualmente, l’art. 45, comma 2 della L.R. 19/2012 stabilisce che il provvedimento accertativo finale di collaudo ha validità di quindici anni, e che alla scadenza di tale termine l'impianto deve essere provvisto di un nuovo provvedimento dichiarativo finale di collaudo richiesto dal titolare. Ne deriva che il titolare dell’impianto deve dotarsi di un nuovo provvedimento dichiarativo finale di collaudo, con le modalità di cui all’art. 45 L.R. 19/2012, entro il termine di 15 anni dall’effettuazione della precedente verifica.
Anzitutto si premette che l’abrogazione dell’intero corpus della LR 17/1990 decorre dal 18/04/2013 (180 giorni dall’entrata in vigore della LR 19/2012). L’abrogazione anticipata dell’art. 13, comma 1) ha lo scopo di non sanzionare i gestori “virtuosi” che dovessero tenere aperti gli impianti per più ore rispetto all’orario massimo di apertura, previsto dalla LR 17/1990 ed incompatibile con le sopravvenute liberalizzazioni. Il citato art. 13, comma 1, infatti, ha un duplice contenuto, prevedendo tanto l’obbligo per i Comuni di far rispettare orari e turni, quanto la sanzione per i gestori che dovessero violare la relativa normativa. Quanto al rapporto tra l’art. 47, che prevede un orario minimo settimanale di 30 ore, e l’art. 2 della LR 17/1990, che impone un orario minimo settimanale di 41 ore e 30 minuti, pur decorrendo l’abrogazione esplicita dell’art. 2 L.R. 17/1990 dal 18.4.2013, esso deve ritenersi implicitamente abrogato per il principio lex posterior derogat priori: dal 18.10.2012, pertanto, l’orario settimanale minimo obbligatorio è pari a 30 ore.
Restano, invece, in vigore sino al 18.4.2013 tutti gli altri obblighi che la L.R. 17 pone a capo dei gestori, quali ad esempio il rispetto dell’orario massimo e la disciplina delle aperture festive. Tuttavia, considerata la non coercibilità di tali obblighi, essi ormai paiono rilevare esclusivamente nei rapporti tra privati (ad esempio, potrà essere preteso il loro rispetto nel rapporto contrattuale tra gestore e compagnia petrolifera, ex art. 1374 c.c.). Un tanto, a ben vedere, vale anche con riferimento all’obbligo di orario minimo di 30 ore, non accompagnato da alcuna sanzione. Ne deriva che, nel rispetto del principio di economicità dell’azione amministrativa, pare opportuno che i Comuni cessino l’effettuazione delle verifiche volte a garantire il rispetto di tali obblighi, stante l’impossibilità di irrogare sanzioni a fronte di eventuali violazioni della relativa normativa. Con riferimento alle turnazioni riferite al 2013, infine, si fa presente che la Direzione centrale lavoro, formazione, commercio e pari opportunità, ritenendo necessario addivenire ad un’interpretazione evolutiva delle norme di cui alla L.R. 19/2012, ha reputato opportuno che le Camere di Commercio non procedano alla predisposizione dei turni.